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Attento notomizzatore della capitalistica civiltà giunta agli sgoccioli, Troisio si comporta come un tanatologo ai confini del Basso Impero. I paradisi dell'Estremo Oriente sono analizzati con l'atteggiamento del visitatore di musei, di un "internato" che ne svela perfino gli anfratti bui, i gioielli non esposti. Ecco quel che anima Troisio: far di virtù sentimentali e d'avventura necessità del racconto. Far della vita necessità di vita, una esperienza che non ammette ripensamenti: e forse proprio qui sta il senso dell'esistenza, nel rendere visibile la sua irreversibilità, senza mai definirla come destino. Si sofferma sulle mura in procinto di crollare o già crollate d'un mondo che racconta segni, cifre che forse possono svelare una qualche verità sfuggente ai più: scopre di avere un muro davanti a sé, inconoscibile. Scrittore cosmopolita, non concependo più l'idea di nazione e di appartenenza, va a cercare l'altrove che non c'è, caso mai l'autoesilio, la condizione dello straniero in patria e ovunque. In questo senso Troisio è il nipote di Chatwin, l'uomo che cerca le vie ormai non più tracciate e tracciabili di un'immagine di noi stessi cancellata. Prefazione di Massimo Pamio.